Bersani punta su cavalli che inciampano

 

Il Tempo (Ruggero Guarini) – Dagli ultimi sviluppi della nostra presente crisi politica non sembra assurdo dedurre che presto si dovrà ammettere che il passo indietro compiuto da Berlusconi nel novembre scorso rassegnando le sue dimissioni da premier è stato un atto politico non meno geniale della sua discesa in campo nel ’94. Per riconoscere questo dovrebbe del resto bastare un semplice confronto fra gli effetti di quel primo «coup de théàtre» e quelli del secondo. Con ambedue questi gesti il Cavaliere ha mostrato di possedere come pochi, anzi come nessu altro nostro politico, il senso della sorpresa. Col primo il Cavaliere riuscì a impedire che la storia della Prima Repubblica, dopo il ciclone di Mani Pulite, si concludesse con l’irreversibile conquista dei suoi cocci da parte della sinistra, anzi col definitivo trionfo del solo partito scampato a quell’uragano. Col secondo ha avviato un processo che sta provocando la trasformazione di tutti i nostri partiti -macchine un tempo temibili e temute, rispettabili e rispettate, efficienti e organizzate – in catorci ormai condannati all’irrilevanza e al ridicolo. E questo potrebb’essere un evento ancor più clamoroso degli effetti scaturiti dall’impresa in cui egli si avventurò diciotto anni fa. Dalla somma degli effetti dei due eventi emerge infatti un’operazione la cui portata, quando si colga il nesso che lega il primo al secondo, non può non dirsi epocale. Per cogliere quel nesso occorre però riconoscere che l’effetto della prima impresa (la fine del sogno del Pci di diventare l’unico dominus del paese drizzandosi solitario sulle macerie della Prima Repubblica) e l’effetto della seconda (la riduzione di tutti i partiti a ridicoli superstiti di un’era ormai tramontata per sempre) sono fin troppo manifestamente espressioni e fasi di un solo processo: l’agonia della partitocrazia. Comprese il Cav, compiendo il suo passo indietro, che quel suo atto avrebbe segnato la fine di quell’agonia? E nel caso che lo comprese, colse il suo rapporto di continuità e coerenza col gesto inaugurale della sua avventura politica? E comunque evidente che anche se egli non colse né la portata delle conseguenze antipartitiche delle sue dimissioni né il loro legame con gli effetti del suo primo sorprendente colpo di scena politico, fu certamente guidato, in entrambi i casi, da un fiuto che proprio per la natura assolutamente inattesa delle conseguenze di entrambe quelle sue scelte non può non essere considerato geniale (…)

 

Corriere della Sera (Piero Martello) – C’è grande disordine dalle parti del Partito democratico. Dove la situazione, già non eccellente, si è fatta, dopo le primarie di Palermo, molto pesante. Anche qui l’esito non è stato quello caldeggiato da Pier Luigi Bersani: ma in senso esattamente opposto rispetto al recente passato. Perché se a Milano, a Cagliari e a Genova aveva vinto un candidato diciamo così «più a sinistra», a Palermo a prevalere è stato un outsider per così dire «più moderato». Sono le primarie, bellezza, titola spiritosamente l’Unità. E avrebbe anche ragione, se non si desse il caso, puntualmente registrato dal quotidiano fondato da Antonio Gramsci, che «dopo la sconfitta di Rita Borsellino, Antonio Letta e i Modem criticano Bersani sulle alleanze». Reclamando l’immediata archiviazione della cosiddetta foto di Vasto, quella che ritraeva Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola come i tre volti di una sinistra autosufficiente. E anche qualcosa di più…Per molto meno, quando c’erano i partiti vecchio stampo, si sarebbe convocato un congresso. Adesso, con l’aria che tira, non se ne parla nemmeno, e si capisce. Meglio azzuffarsi di primarie in primarie. Meno male per il Pd che i1 7 maggio si vota, e queste di Palermo, a occhio e croce, sono state le ultime.

 

QN (Franco Cangini) – …Il primo contraccolpo dell’alloro strappato dal ragazzo Ferrandelli alla Borsellino trova in Bersani un facile bersaglio. Dall’Alpi al Lilibeo, non si contano le scommesse perdute dal segretario “democrat” sui candidati alle primarie. La sua tendenza a puntare su cavalli che inciampano riceve conferme con frequenza imbarazzante. Figurarsi se manca ai suoi compagni la voglia di presentargli il conto. Un secondo e più importante contraccolpo investe la politica delle alleanze del Pd, e quindi la necessità di definire l’ambigua natura del partito. Che rivendica il rango di capofila della sinistra, ma dirsi socialista non vuole e atteggiarsi a “democrat” non si sa dove porti…

 

Italia oggi (Sergio Soave) – …la sua tattica dilatoria, che punta a far maturare la decisione sulle alleanze nazionali solo a ridosso della consultazione della primavera prossima, fa apparire il Pd privo di una direzione e lo espone a tutti i venti. Intanto si profila una radicalizzazione a sinistra, plasticamente espressa nel palco su cui si sancirà l’alleanza antagonista tra i metalmeccanici della Cgil e gli agitatori No-Tav, che sancirà una nuova frattura tra Democratici e gli altri esponenti del centrosinistra che invece saranno in prima fila. Le crepe che si sono viste nelle primarie non solo palermitane e che si vedranno anche più esplicitamente in piazza minano alla base la tattica di Bersani e mettono di nuovo in discussione la sua leadership di oggi e soprattutto la sua candidatura di domani. D’altra parte era facile prevedere che un aggregato tenuto insieme dall’antiberlusconismo rischiasse di sciogliersi quando il collante non c’è più…

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