Il governo l’aveva ambiziosamente chiamata “spending review”, con quella spruzzata di provinciale cosmopolitismo che in epoca di spread pare inevitabile. Doveva comunque essere un deciso piano di riduzione della spesa pubblica salvaguardando quella sociale, e a beneficio di famiglie e imprese. Ma l’operazione si sta trasformando in una nuova ondata di tasse, occultate in quelli che dovrebbero essere tagli virtuosi. Due esempi? L’aumento delle rette universitarie, che inizialmente doveva riguardare solo i fuori corso, potrà estendersi dal prossimo anno a tutti gli studenti, anche in regola con gli esami, le cui famiglie abbiano un coefficiente Isee (reddito più patrimonio) superiore a 40 mila euro. Mentre dal 2016 le nuove tasse riguarderanno tutti. E si va dal 25 per cento in più al raddoppio.
Secondo esempio: nelle otto regioni alle prese con il rientro dal deficit sanitario le addizionali Irpef potranno aumentare dal 2013 in una misura che va dal 35 al 70 per cento. Cifre che si aggiungono all’aumento lineare dell’Irpef per tutte le regioni, anche quelle virtuose, deciso dal decreto salva-Italia del dicembre scorso. Certo, si dirà che il Parlamento approva questi decreti, e quindi anche il Pdl è costretto a dire sì: ma lo fa con il ricatto del voto di fiducia e della caduta del governo.
Tutto ciò si aggiunge alla reintroduzione della tassa sulle prime case, l’Imu che spesso raddoppia la vecchia imposta che noi avevamo soppresso. E alla miriade di altri aumenti, dall’Iva ai carburanti, che colpiscono famiglie e imprese allontanando la ripresa. In compenso si risparmiano di nuovo le aziende in mano agli enti locali, care alla sinistra. Fin dall’inizio abbiamo incoraggiato i tecnici a tagliare la spesa pubblica improduttiva e clientelare: ecco invece un’altra stangata fiscale. Così siamo buoni tutti. Forse l’Italia vede la fine del tunnel, come ha detto Mario Monti: ma dal tunnel rischiamo di uscire frastornati dalle tasse. (da ilM del 2 agosto’12)