Della Valle e Marchionne io non compro macchine Fiat e scarpe Tod’s perchè non ho un quattrino!!!

“Della Valle dice che non compra auto Fiat, Marchionne che non compra più scarpe Tod’s, la gran parte degli italiani non si pone il problema, visto che non ha  i quattrini né per le une né per le altre”. E’ una battuta che circola e che, come tutte le battute, ha una radice di verità. Perché al netto delle polemiche sul valore del manager italo-canadese a due facce – sugli altari in Usa e nella polvere qui da noi, grandi risultati là e grandi promesse svanite in Italia – il problema di fondo sta nella situazione economica di un Paese che è fanalino di coda nella crescita e sul podio più alto del mondo occidentale per tassazione  delle  famiglie e delle imprese, per non parlare dei primati di crollo della produttività e di scarsa attrattività degli investimenti esteri. Un Paese che quindi non consuma e così produce quel poco che serve per il mercato interno andandosi a cercare con fatica clienti nel mondo intero.

Dopo la casa, l’auto è per impegno finanziario il secondo investimento di una famiglia e così per la Fiat sono guai grossi, con un mercato italiano che crolla (il peggiore, un milione di auto in meno rispetto a 5 anni fa) all’interno di un mercato europeo che scende. Ha quattro stabilimenti e ne basterebbero due per saturare la richiesta di auto Fiat dell’intero mercato continentale. La partita in gioco è quindi grossa, c’è l’esistenza di due fabbriche che balla, la vita e il posto di lavoro di 15mila dipendenti diretti più altrettanti nell’indotto, la stessa sopravvivenza della produzione di auto in Italia.

E’ una situazione figlia di colpe antiche (gli aiuti di Stato molto consistenti, diretti e indiretti; la protezione contro la concorrenza di cui ha goduto la Fiat fino agli anni ’90) e di responsabilità più recenti. Non ultima la cosiddetta Fabbrica Italia, un piano che è apparso presto sovradimensionato (target di produzione italiana a un milione 400mila vetture, il triplo di oggi), con i suoi 20 miliardi di investimenti: in realtà “soltanto” 7 destinati all’auto e all’Italia  (il resto nel mondo e in altri settori), una confusione comunicativa voluta da Marchionne e che ora gli si ritorce contro.

Sta di fatto che nel frattempo Fiat ha cambiato pelle, il mercato è ben lontano da quel che si sperava. Gli investimenti ci sono stati a Pomigliano con la Panda e a Grugliasco con la Maserati (in tutto quasi 2 miliardi) e certo non è possibile  ora investire su nuovi prodotti che resterebbero sui piazzali. Come accade in Europa a Peugeot, Renault, Opel, laddove già si ragiona su licenziamenti e chiusure.

Si va dunque all’incontro di Palazzo Chigi perché la Fiat scopra le sue carte sul futuro delle fabbriche, dei lavoratori, della stessa produzione in Italia. E’ bene che si faccia chiarezza, partendo da un’operazione trasparenza e verità prima di tutto da parte di Fiat. Sono da escludere incentivi, hanno sempre drogato il mercato e fatto danni.

Si dovrà ragionare in primo luogo sulla protezione sociale dei lavoratori, che Marchionne sostiene di non voler licenziare; si dovrà ragionare di Mirafiori, dove si progetta un Suv destinato al fiorente mercato americano; si dovrà ragionare di altri progetti per tenere in piedi la Fiat. Ma si potrebbe anche parlare di come ridare un po’di carburante alla ripresa del settore, al quale questo governo ha tarpato le ali con tasse sul lusso, superbolli, aumenti della benzina e infinite altre gabelle. (IlM del 19/09/2012)

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