Contributo dovuto nei casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni (c.d. ticket licenziamento)

L’art. 2, commi 31-35 della legge n. 92/2012 dispone che nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.Per l’anno 2017, il contributo dovuto dal datore di lavoro è pari a 489,95 euro per ogni anno di lavoro effettuato fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.469,85 euro per i rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi); detto contributo è calcolato sul 41% dell’indennità NASpI rivalutata, per il 2017, a 1.195 euro (INPS circ. n. 36/2017).

Con riferimento all’anzianità aziendale su cui calcolare il contributo, l’INPS specifica che è quella maturata in relazione all’interrotto rapporto di lavoro a tempo indeterminato; con riferimento ai lavoratori intermittenti, con o senza disponibilità, i periodi non lavorati non concorrono nel computo dell’anzianità aziendale. Inoltre, non vanno considerate ai fini della determinazione dell’anzianità aziendale, alcune vicende che possono caratterizzare il rapporto di lavoro, quali ad esempio le ipotesi di sospensione per aspettativa non retribuita ed i periodi di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001 (INPS mess. n. 10358/2013).

Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi anche i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo addizionale previsto per i contratti a termine.

Riguardo alla misura del contributo, deve essere considerato il parametro del 41% del massimale mensile di NASpI. La somma limite di cui all’art. 2, comma 7, della legge n. 92/2012, utilizzata come soglia per determinare l’importo della prestazione mensile spettante al lavoratore è annualmente rivalutata sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. L’INPS puntualizza che:

– il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time);

– per i rapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario;

– nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo di cui all’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001;

– la contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata (INPS circ. 44/2013).

Esempi di calcolo

Assunzione 18 novembre 2015 – Licenziamento 16 settembre 2016

Durata del rapporto di lavoro: 10 mesi (da dicembre 2015 a settembre 2016 compresi)

Contributo di licenziamento = € 489,95/12 x 10 mesi = € 408,29

Assunzione 18 febbraio 2014 – Licenziamento 16 settembre 2016

Durata del rapporto di lavoro: 30 mesi (da marzo 2014 a settembre 2016 compresi)

Contributo di licenziamento = € 489,95/12 x 30 mesi = € 1.224,87

Il contributo dovuto va versato all’INPS a mezzo F24 unitamente ai contributi di competenza del mese successivo a quello nel quale è avvenuto il licenziamento;

La contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata.

Il mancato versamento del contributo nei termini di legge comporta l’applicazione della disciplina sanzionatoria prevista dall’INPS nei casi di omesso o tardivo versamento dei contributi obbligatori:

– applicazione di sanzioni civili;

– irregolarità a fini DURC;

– perdita di eventuali benefici contributivi.

Giusta causa di licenziamento per dipendente di banca infedele

Un direttore di banca che avverte un cliente degli accertamenti disposti a suo carico da parte dell’Autorità giudiziaria può incorrere nel licenziamento per giusta causa. La Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 settembre 2014, n. 19612, conferma l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del concetto di “giusta causa” rispetto al caso riguardante la direttrice di una filiale di Intesa Sanpaolo S.p.A., licenziata in via disciplinare per aver riferito, ad un cliente della filiale da lei diretta, della richiesta di accertamenti bancari sul suo conto e disposti dall’A.G. Cassazione civile – Sentenza 17 settembre 2014, n. 19612.

Giustificato il licenziamento del malato “seriale”

E’ giustificato il licenziamento del dipendente che è sistematicamente assente dal lavoro per malattia, non garantendo in tal modo la continuità e proficuità della prestazione lavorativa.
Con la sentenza del 4 settembre 2014, n. 18678, la Corte di Cassazione sanziona il comportamento assenteista del lavoratore che strategicamente lega le assenze al giorno di riposo o al turno di notte, compromettendo in tal modo l’organizzazione aziendale.